21 Apr, 2020
Giorgia Baccini, Fabio Cotti – Studio Associato RiPsi
Disturbo traumatico dello sviluppo: di cosa stiamo parlando?
Con Disturbo traumatico dello sviluppo (Developmental Trauma Disorder) facciamo riferimento ad una costellazione di sintomi clinici, manifestati in età evolutiva, conseguentemente all’esposizione ad un trauma complesso (1).
Il trauma complesso si distingue dal singolo evento traumatico sulla base della pervasività e della natura dell’esperienza traumatogena. Con l’espressione “trauma complesso”, infatti, ci riferiamo all’esperienza di eventi traumatici multipli, cronici e ripetuti nel tempo, con esordio nella prima infanzia e di natura molto spesso interpersonale (2). Quando pensiamo a storie infantili di trauma complesso, dobbiamo, quindi, rappresentarci scenari di maltrattamenti o abusi fisici, sessuali ed emotivi, di trascuratezza fisica, emotiva ed educativa, di separazioni molteplici dal caregiver o di assistenza a violenza interpersonale ripetuta.
Esperienze traumatiche croniche di questo genere hanno conseguenze gravi ed innumerevoli sullo sviluppo dei bambini. La letteratura sull’argomento ha sistematizzato gli effetti del trauma complesso in età evolutiva in sette domini (3):
Bessel Van der Kolk, insieme a colleghi esperti, ha quindi proposto, tenendo conto delle molteplici conseguenze dei traumi complessi, i criteri per la diagnosi di Disturbo traumatico dello sviluppo, raccogliendo la suddetta sintomatologia clinica in tre grandi aree: la disregolazione psicologica ed emotiva, la disregolazione comportamentale ed emotiva e i disturbi nella percezione del Sé o nelle relazioni interpersonali (1).
Disturbo traumatico dello sviluppo: è possibile fare diagnosi?
Se con “diagnosi” ci riferiamo all’inquadramento della sintomatologia del paziente all’interno di una certa categoria diagnostica (diagnosi nosografico-descrittiva), la risposta è no, non è possibile, ad oggi, fare diagnosi di Disturbo traumatico dello sviluppo.
Sebbene, da un punto di vista clinico ed empirico, gli esperti abbiano colto la sintomatologia tipica di chi è esposto a traumi complessi in età evolutiva, essa non è stata ancora accolta all’interno dei manuali diagnostici in uso nella pratica clinica, come il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione (DSM-5) (1).
La diagnosi di Disturbo da Stress Post-Traumatico Complesso ha invece recentemente trovato una sua collocazione nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-11), che entrerà in vigore nel gennaio 2022 (4).
L’assenza di una diagnosi trauma-specifica per l’età evolutiva ha dato origine, secondo i professionisti del settore, ad un fenomeno noto come “epidemia nascosta”: molti bambini non vengono adeguatamente diagnosticati (1). I segni e i sintomi, che essi manifestano conseguentemente ad esperienze traumatiche croniche, o non vengono diagnosticati o vengono erroneamente interpretati come epifenomeni di altre psicopatologie.
Virginia, una ragazza di 13 anni, era stata separata dalla madre biologica, tossicodipendente. A seguito di una malattia e della morte della prima madre adottiva, passò da un affido all’altro prima di essere adottata nuovamente. Virginia si mostrava seduttiva con qualsiasi maschio incontrasse e raccontava di abusi sessuali e fisici subiti da parte di varie babysitter e genitori affidatari temporanei.
Nel corso della sua storia clinica ha avuto 13 ricoveri d’urgenza per tentati suicidi. Il personale la descriveva come una ragazza isolata, controllante, esplosiva, seduttiva, invadente, vendicativa e narcisista. Descriveva se stessa come disgustosa e diceva che avrebbe preferito essere morta. Le diagnosi contenute nella sua cartella clinica erano: Disturbo bipolare, Disturbo esplosivo intermittente, Disturbo reattivo dell’attaccamento, Disturbo da deficit di attenzione sottotipo iperattivo, Disturbo oppositivo provocatorio e Disturbo da uso di sostanze. Ma chi è, in realtà, Virginia? (Van der Kolk, 2015, p. 175)
L’intento di chi ha proposto la diagnosi di Disturbo traumatico dello sviluppo è, allora, quello di rispondere ad un’esigenza più pratica che teoretica. Essa ha, infatti, tra gli altri, l’obiettivo di portare alla luce l’eziopatogenesi comune a molti sintomi clinici, ossia l’essere stati esposti ad esperienze infantili avverse. Fermarsi ad un’analisi fenomenica del sintomo, come nel caso di Virginia, ha portato a molte diagnosi, ma ad una scarsa comprensione della sua sofferenza.
Se con “diagnosi” intendiamo, allora, il processo mediante il quale si giunge, insieme al paziente, alla conoscenza del suo funzionamento psichico (diagnosi di funzionamento), la sistematizzazione dei sintomi, conseguenti al trauma complesso in età evolutiva, proposta dalla letteratura sul tema, può diventare una delle mappe orientative impiegate per comprendere la sofferenza psichica del paziente.
L’assessmentdi bambini e adolescenti portatori di storie di trauma complesso deve essere, secondo gli autori, una valutazione globale (comprehensive assessment) del loro funzionamento (3). Globale nel senso che:
In questo modo, è possibile inquadrare la sintomatologia all’interno di una cornice di significati, giungere ad una diagnosi di funzionamento ascrivibile al quadro di Disturbo traumatico dello sviluppo ed orientare il trattamento sugli aspetti centrali della cura del trauma complesso infantile (3).
References:
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