Roberta Mor e Fabio Cotti – Studio Associato RiPsi

Il concetto di diagnosi, in psicologia, è sempre stato teatro di animati dibattiti e conflitti. Se questa è, di fatti, un punto fermo della medicina, tante sono state in passato le perplessità rispetto alla sua utilità in ambito psicologico.

Parte del dibattito trova terreno fertile in una certa confusione rispetto al termine, al suo utilizzo e al processo che porta alla sua definizione. Questo articolo ha, quindi, l’obiettivo di portare chiarezza in un ambito complesso e controverso.

La premessa fondamentale è questa: una diagnosi deve avere utilità clinica, logica e validità.

La diagnosi nosografica

La diagnosi nosografica consiste in un inquadramento del paziente in una data categoria, presente in sistemi standardizzati. Ha, come riferimento, il modello medico della diagnosi delle malattie somatiche e si basa sull’assunto che i disturbi psicologici, al di là della loro eziopatogenesi, possano essere descritti come entità specifiche sulla base di segni e sintomi.

Una tematica importante, quando si parla di diagnosi nosografica, è quella del labelling, ovvero quel processo di “etichettamento” per cui un paziente, anziché essere visto e compreso come una persona, viene identificato con la diagnosi che gli è stata attribuita, creando un processo di pericolosa depersonalizzazione e identificazione con la patologia, tutt’altro che utile alla costruzione del benessere personale.

Ma, quindi, perché si fa una diagnosi nosografica? Qual è la sua utilità?

L’interesse per la classificazione delle patologie psichiche inizia ad aumentare tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, nel momento in cui viene fortemente sostenuta l’eziologia organica di qualsiasi disturbo psichico e la psicologia si configura, di fatto, come una branca della medicina.

L’assetto dei clinici cambia durante e a cavallo delle due guerre mondiali, ovvero nel momento in cui i reduci di guerra mostrano disagi e sintomatologie che non sono attribuibili a patologie organiche pre-esistenti. Quello che verrà poi definito come “Disturbo post traumatico da stress” rende, quindi, evidente che la patologia psichica non è semplicemente riducibile a una problematica fisica.

La prima esigenza che porta alla nascita dei manuali di classificazione dei disturbi mentali è quella di comprendere le patologie che affliggono i pazienti (alcune delle quali, “nuove” rispetto a quanto conosciuto dagli psichiatri del tempo); la seconda esigenza riguarda la comunicazione internazionale e l’ambito della ricerca. Utilizzare gli stessi sistemi di classificazione permette, di fatto, di scambiare dati, risultati, osservazioni.

La diagnosi nosografica, quindi, nasce sia a servizio dei clinici sia a servizio dei pazienti.

I sistemi di classificazione dei disturbi mentali sono molteplici e diversi, i più diffusi sono il DSM e l’ICD.

  • DSM – Diagnostic Statistical Manual

Il DSM nasce nel 1952 negli Stati Uniti. Questo manuale propone categorie diagnostiche che appartengono a una definizione internazionale delle malattie; a questa definizione concorrono aspetti biomedici, aspetti psicologici e aspetti sociali.

Una delle caratteristiche del DSM è l’approccio ateorico. Il manuale non è, quindi, costruito su teorie di riferimento, ma su un “consenso degli esperti” riguardo alle caratteristiche proprie di un dato disturbo psichico; questo viene valutato attraverso criteri di inclusione e di esclusione e attraverso criteri temporali.

Il DSM è arrivato, oggi, alla sua V versione e descrive quasi 400 malattie psichiatriche, ognuna con i propri sintomi peculiari raccolti in base a dati epidemiologici.

  • ICD – International Classification of Disease, Injuries and Causes of Death

Il Sistema di classificazione ICD è redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO), nasce nel 1893, allo scopo di elencare le possibili cause di morte per gli esseri umani.

Nell’edizione ICD-6, del 1948 viene, per la prima volta, inserita una classificazione dei disturbi psichici, che vengono descritti nel Capitolo V.

Nelle edizioni successive, i disturbi psichici sempre più trovano una collocazione più definita.

La diagnosi di funzionamento

Lo sviluppo e l’utilizzo della diagnosi di funzionamento nasce da un’importante cambio di prospettiva in ambito teorico; in passato la diagnosi serviva a dimostrare l’idoneità del paziente ad affrontare il tipo di trattamento psicoterapico proposto, oggi, al contrario, è il terapeuta che deve pianificare un trattamento “su misura” per il paziente, costruito attorno al suo funzionamento, tenendo in considerazione obiettivi, potenzialità, punti di forza, punti di debolezza, stile relazionale.

La diagnosi di funzionamento, quindi, è uno strumento al servizio del paziente e questo implica che lo psicologo clinico sia in grado di inquadrare il paziente dal punto di vista cognitivo ed emotivo, a prescindere dalla propria teoria di riferimento.

Per pervenire ad una diagnosi che rispetti questi criteri è necessario scindere il momento della comprensione clinica da quella dell’azione terapeutica. Importante, in questo caso, è il concetto di alleanza diagnostica, ovvero il coinvolgimento del paziente stesso in un processo di sospensione del giudizio, volto unicamente alla comprensione e alla conoscenza dei meccanismi disfunzionali che impediscono il conseguimento dello stato di benessere.

Il processo che porta alla costruzione di questo tipo di comprensione del funzionamento utilizza diversi strumenti:

Colloquio clinico: il colloquio è un processo in cui clinico e paziente interagiscono allo scopo di comprendere la problematica presente o, comunque, la situazione contingente che ha portato alla consultazione; è indispensabile, in questa fase, che il clinico sia in grado di dosare accoglienza, ascolto, domande e ragionamento clinico, affinché il paziente possa sentirsi a proprio agio nel formulare la propria domanda o nell’esprimere le proprie difficoltà.

Anamnesi: la raccolta anamnestica è paragonabile a un viaggio; è un viaggio del paziente attraverso la propria vita, toccandone le aree salienti, quali la famiglia d’origine, la prima infanzia, lo sviluppo, gli anni scolastici, l’adolescenza, l’area lavorativa, le relazioni sentimentali, stile di vita, eventi traumatici. In questo percorso è importante che il clinico ponga domande allo scopo di facilitare il processo, senza pretese di chiarezza eccessiva o di interpretazione di eventuali difficoltà; il questo modo, il paziente può tendere un “filo rosso” trasversale alla propria vita e averne una visione d’insieme.

Batteria di test: l’utilizzo di una batteria di test consente l’indagine di diverse aree di funzionamento e di osservare il paziente in situazioni differenti, valutando sia quantitativamente sia qualitativamente la presenza o l’assenza di determinati meccanismi e caratteristiche.

La diagnosi di funzionamento consente di indagare la personalità del paziente, ossia mette a fuoco:

  • Funzionamento cognitivo
    I test cognitivi consentono di conoscere il QI del paziente, inteso come quoziente intellettivo. Tuttavia, spesso non è questo il dato maggiormente rilevante o interessante da un punto di vista clinico, piuttosto, lo è l’osservazione di come il paziente utilizza alcune funzioni, quali la memoria, ad esempio, in situazioni di stress e valutazione. Attraverso questo tipo di strumenti possono essere valutati i processi di pensiero e la lucidità e la coerenza dello stesso.
  • Funzionamento emotivo
    L’indagine del funzionamento emotivo può essere effettuata attraverso molti tipi di strumenti. A prescindere da quello selezionato, è importante valutare la modalità con cui il paziente vive le proprie emozioni e come le gestisce; si analizza il controllo degli impulsi e si valuta, in generale, il tipo di attitudine che il paziente ha verso gli stimoli emozionanti.
  • Percezione e immagine del Sé
    Anche in questo caso, la percezione e l’immagine di Sé viene può essere analizzata impiegando diversi tipi di test e, spesso, è bene costruire questa comprensione utilizzandone più di uno, proprio per l’inevitabile complessità dell’area stessa. Si indaga la costruzione della rappresentazione del Sé, la sua solidità, continuità e coerenza interna. Importante è la percezione che il paziente ha di sé stesso e l’eventuale presenza di temi specifici che possono influenzare l’autostima e l’immagine di sé.
  • Assetto relazionale
    Così come il Sé, anche la Relazione è un tema complesso. Vengono valutate la propensione alla relazionalità in generale, la capacità di mantenere un comportamento anche solo superficialmente adeguato nei vari contesti sociali e la propensione all’intimità. L’indagine dell’assetto relazionale, sovente, tocca e deriva anche dalla linea eziopatogenetica, per cui è possibile indagare o osservare come le rappresentazioni delle relazioni attuali derivino da quelle primarie.
  • Linea evolutiva e/o linea eziopatogenetica
    Individuare la linea eziopatogenetica è molto importante per la costruzione di una diagnosi di funzionamento; la necessità, infatti, non è quella di attribuire delle “colpe” a dei responsabili terzi, ma quella di capire l’evoluzione avuta dal paziente, nelle sue diverse fasi di vita, e di comprendere come si siano instaurati i meccanismi disfunzionali che impediscono, al momento attuale, un funzionamento sano.

Ambito clinico

In clinica formulare una diagnosi nosografica è corretto e doveroso. Come già asserito, tale diagnosi consente di scambiare osservazioni e dati tra clinici differenti, inoltre, permette un più corretto inquadramento della psicopatologia del paziente, nonché il progredire della ricerca in ambito clinico.

Compito specifico dello psicologo clinico, poi, è quello di evitare l’effetto “etichetta”: in ambito clinico non omologare tutti i pazienti con la medesima diagnosi è fondamentale e, per questo motivo, ogni diagnosi nosografica, nell’ambito della psicologia clinica, deve essere accompagnata, integrata e “potenziata” dalla diagnosi di funzionamento del medesimo paziente. È quest’ultima, infatti, a esplicare in quale modo si manifesti a livello fenomenologico la malattia di cui è affetto un determinato paziente e a comprenderne il significato.

Riassumendo, in ambito clinico la diagnosi nosografica serve a fornire un inquadramento della patologia del paziente che spesso viene utilizzata “a grandi linee”, come se fosse un colpo d’occhio sul paziente, necessario allo psicologo clinico per un primo approccio al lavoro clinico/terapeutico; la diagnosi di funzionamento integra, completa e sfaccetta questa classificazione, facendo emergere in prima linea il Paziente e le sue caratteristiche, compresi tutti i significati attribuiti alla patologia e/o al sintomo.

Attraverso l’uso sinergico di questi due strumenti lo psicologo può impostare il proprio lavoro, “su misura” per il proprio paziente.

Psicologia giuridica e perizie

In ambito giuridico, sia civile sia penale, è importante – in alcuni ambiti addirittura conditio sine qua non – formulare sempre entrambe le diagnosi, nosografica e di funzionamento.

In tutti gli ambiti peritali è richiesta una diagnosi nosografica, ad esempio:

  • nei contesti di valutazione delle competenze genitoriali, al fine di evidenziare l’eventuale presenza di psicopatologie che altererebbero le stesse;
  • per la valutazione del danno biologico di natura psichica, ove la diagnosi è “conditio sine qua non” al fine di poter quantificare il danno, sia temporaneo sia permanente;
  • nel penale minorile, ad esempio per evidenziare la psicopatologia sottostante a condotte devianti, al fine di evidenziare il danno cagionato ad un bambino che ha subito maltrattamenti e/o abusi sessuali, ecc.;
  • in ambito penale, ad esempio al fine di valutare la capacità di stare in giudizio, la pericolosità sociale, la capacità di rendere testimonianza, ecc.

In tutti gli ambiti peritali è richiesta anche una diagnosi di funzionamento, ad esempio:

  • per la valutazione delle competenze genitoriali, al fine di inquadrare il funzionamento a 360° dei care-givers e quali esiti tale funzionamento abbia sulla genitorialità;
  • per la valutazione del cosiddetto danno esistenziale qualora si proceda a quantificare un danno psichico, ossia, indagare come gli aspetti affettivi, relazionali e di progettualità futura si sono modificati in conseguenza del trauma patito;
  • nel penale minorile, per comprendere il funzionamento dei minori, andando così a dare significato alla classificazione nosografica svolta;
  • in ambito penale, ad esempio, al fine di investigare il funzionamento di personalità di soggetti autori di reati, ecc.

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