Eleonora Centonze e Fabio Cotti – Studio Associato RiPsi

Il divorzio, o la separazione per le coppie non sposate ma conviventi, può essere considerato come un evento critico “eccezionale” che alcune famiglie affrontano nel corso del loro ciclo di vita. Gli eventi critici richiedono al nucleo familiare di riorganizzarsi in modo che ciascun componente della famiglia possa adeguare il proprio ruolo e le proprie modalità relazionali alla nuova situazione.
In generale, è possibile distinguere tra eventi attesi e prevedibili, che la maggior parte delle famiglie, prima o poi, affronta (es. matrimonio, nascita) ed eventi critici “eccezionali”, improvvisi e inattesi, benché possano verificarsi con una certa frequenza (es. malattie, divorzi, separazioni). Gli eventi critici “eccezionali”, proprio per la loro caratteristica imprevedibilità, implicano che la famiglia non possieda schemi pre-esistenti da utilizzare per adattarsi alle nuove circostanze. Per poterli fronteggiare, dunque, è necessario che siano attivate tutte le risorse disponibili sul piano personale, economico e sociale per superare la crisi (1).

COMPITI EVOLUTIVI DELLA FAMIGLIA SEPARATA

I compiti evolutivi sono costituiti dall’insieme dei “compiti psicosociali che la famiglia deve affrontare per rispondere alle esigenze di trasformazione e di crescita caratteristiche di quel momento evolutivo” (Malagoli Togliatti e Lubrano Lavadera, 2002). I compiti di sviluppo della famiglia separata possono essere considerati su tre piani: coniugale sociale e genitoriale. Su quello coniugale, gli ex partner devono riuscire a elaborare il divorzio psichico, cui si può giungere soltanto se e quando ognuno riconosce il proprio contributo al fallimento della relazione. Da un punto di vista sociale, i genitori devono rinegoziare i propri rapporti e i propri ruoli con le famiglie di origine dell’ex coniuge e con gli amici in comune; poiché alcuni di questi ultimi potrebbero ritirarsi dalla relazione per evitare di doversi schierare a favore di una delle due parti in causa, è importante che siano coltivati anche nuovi e significativi legami affettivi – sentimentali e amicali. Sul livello genitoriale, entrambi gli ex coniugi rimangono genitori dei figli nati dal legame affettivo e devono continuare a esercitare la loro responsabilità genitoriale in maniera cooperativa e collaborativa. Ognuno dei membri della coppia è inoltre tenuto a garantire al figlio il diritto di accedere all’altro genitore e alla sua famiglia di origine, un compito che è ancora più rilevante, seppure non esclusivo, per il genitore collocatario (ossia il genitore presso cui i minori sono collocati in via prevalente). Gli ex partner, inoltre, devono rispettarsi reciprocamente nei loro ruoli di madre e di padre, in modo tale da non screditare l’autorità dell’altro genitore di fronte al figlio. La perdita di autorevolezza dei genitori, infatti, può ostacolare il processo di indipendenza e di autonomia del minore, a cui viene a mancare una guida sicura in grado di fornire regole chiare, seppure non rigide; il minore, in tal caso, può vedere compromesso il senso di autostima, le capacità di stabilire relazioni sane e significative con i pari e con gli adulti e lo sviluppo morale, poiché faticherà ad interiorizzare l’importanza di seguire le regole.

LE FASI DEL DIVORZIO E LA CRONICIZZAZIONE DEL CONFLITTO

Bohannan ha evidenziato sei fasi che la coppia coniugale percorre quando deve affrontare una separazione definitiva. La prima di queste è il divorzio emotivo, cioè la presa di consapevolezza del deterioramento che caratterizza la relazione coniugale. È il periodo in cui si alternano momenti di rottura della relazione e altri di rappacificazione (fase “del ping-pong”) e in cui la coppia avanza le eventuali richieste di consulenza o di terapia. I livelli di conflittualità, tuttavia, continuano ad aumentare fino a quando la coppia raggiunge un “punto di non ritorno”, cioè si rende conto che la relazione comporta più svantaggi che vantaggi e prende la decisione di separarsi. A questo punto, i due ex partner ufficializzano la loro scelta prendendo contatto con un avvocato, determinando così l’ingresso nella fase del divorzio legale. Le fasi successive sono quella del divorzio economico, che attiene alla suddivisione dei beni e delle proprietà e all’ammontare degli assegni di mantenimento, e quella del divorzio genitoriale, in cui si rinegozia la relazione con l’ex coniuge in modo da garantire l’assolvimento degli obblighi connessi alla responsabilità genitoriale anche dopo la separazione. Nella fase del divorzio dalla comunità possono comparire sentimenti di solitudine, poiché i due ex partner devono rinegoziare i loro ruoli e rapporti con gli amici in comune e con la famiglia dell’ex coniuge. L’ultima fase è quella del divorzio psichico e prevede la capacità di elaborare e accettare la separazione definitiva, riconoscendo il proprio contributo alla rottura del legame matrimoniale e ricominciando a investire su di sé, con la costruzione di nuovi legami affettivi (2).

Quando la coppia coniugale non è in grado di elaborare il divorzio, resta “bloccata” a una delle succitate fasi e cerca di mantenere un legame, seppure estremamente disfunzionale, alimentando la conflittualità, un fenomeno noto in letteratura con l’espressione “legame disperante”. In particolar modo, i conflitti e le tensioni si accumulano nell’area genitoriale, che rappresenta l’unico motivo di contatto ancora esistente tra i due ex coniugi. I rancori e i reciproci desideri di vendetta (1), quindi, si esprimono in “drammatici contenziosi giuridici” che si cronicizzano nel tempo, ostacolando i processi di sviluppo dei figli(3).

Il Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia (CISMAI) riconosce le separazioni come gravemente conflittuali quando “la coppia presenta nel tempo modalità rigide e distruttive di relazione che finiscono per coinvolgere pesantemente i figli, senza alcuna possibilità di raggiungere accordi rispetto alla gestione degli stessi né in altre aree della separazione” (CISMAI, 2019, p. 19). I genitori, assorbiti dalle loro dinamiche relazionali, non si accorgono degli effetti che potrebbero avere sul benessere dei figli, i quali loro malgrado vengono coinvolti nel conflitto. I comportamenti e gli eventuali disagi dei minori, infatti, sono strumentalizzati da entrambe le parti e utilizzati in sede legale per screditare le capacità genitoriali dell’ex partner. Il conflitto viene così centrato sul figlio, che rischia di sviluppare un disagio psichico significativo sul piano emotivo, scolastico, comportamentale e relazionale. Le reazioni – più o meno disadattive – del minore dipendono da un insieme di fattori, tra cui il genere, la sua fase evolutiva, il suo temperamento, le sue competenze cognitive e affettive, la presenza di supporto sociale, la qualità della relazione con i fratelli e con i pari, il significato attribuito al conflitto genitoriale(3). Per esempio, nei bambini piccoli un’emozione forte può sfociare direttamente in un sintomo oppure tradursi in un’interpretazione distorta della realtà (1). È questo il caso in cui il bambino si attribuisce la responsabilità di ciò che sta accadendo tra i genitori, aumentando il rischio di sperimentare sentimenti di colpa, vergogna e tristezza. Quando il bambino si sente incapace di fronteggiare lo stress associato ai problemi esistenti tra i genitori, può manifestare insicurezza, ansia e sentimenti di impotenza(3). Interessante è il ruolo svolto dai fratelli, che possono agire come fattori di protezione oppure di rischio; il primo caso si verifica quando la qualità della relazione nel sottosistema dei fratelli è positiva e rappresenta una risorsa per limitare la conflittualità genitoriale; nel secondo, invece, le separazioni esacerbano oppure innescano una rivalità tra fratelli, che sono spinti a competere per l’affetto dei genitori (1).

VALUTARE LA GRAVITÀ DEL CONFLITTO GENITORIALE

Una valutazione accurata del conflitto tra i genitori è necessaria per aiutare il professionista a comprendere il tipo di intervento più adatto per una particolare coppia. A tal fine, appare rilevante considerare i seguenti indicatori prognostici: 1) la capacità dei genitori di riflettere sui loro comportamenti e riconoscere il proprio contributo al conflitto; 2) la capacità di riconoscere la sofferenza dei figli e il danno causato dai propri atteggiamenti. Nei casi di elevata conflittualità, infatti, entrambe le abilità sono assenti o fortemente compromesse.

In tali circostanze, la mediazione familiare non è una soluzione possibile, poiché i due ex coniugi non sono in grado di stare fisicamente nella stessa stanza senza innescare un’escalation di aggressività. L’intervento elettivo, in queste situazioni, è rappresentato da percorsi di presa in carico con una maggiore valenza terapeutica. L’obiettivo generale è aumentare la consapevolezza dei due ex partner circa le conseguenze che i loro atteggiamenti hanno sui figli e aiutarli a mettere in atto modalità relazionali più funzionali. Per raggiungere tale obiettivo è necessario che entrambi riprendano il processo di elaborazione del lutto associato alla separazione e colgano le connessioni esistenti tra le difficoltà attuali e le pregresse esperienze infantili. Al termine di tale intervento, i genitori dovrebbero essere più consapevoli della sofferenza generata nel bambino e dei rischi connessi a modalità relazionali disfunzionali; soltanto sulla base di tale rinnovata conoscenza è possibile, anche attraverso un intervento di mediazione, aiutare i genitori affinché imparino a cooperare per prendere decisioni nell’esclusivo e superiore interesse dei figli.

CONCLUSIONI: L’OBIETTIVO DELLA PREVENZIONE

Spesso, quando le coppie decidono di separarsi, gli individui che ne facevano parte si ritrovano improvvisamente da soli ad affrontare un difficile momento, il divorzio (o la separazione per le coppie non sposate ma conviventi,), che richiede sia un’elaborazione sul piano emotivo sia una riorganizzazione della vita quotidiana. Tuttavia, di rado i genitori hanno adeguate informazioni in merito ai percorsi che potrebbero seguire per elaborare la sofferenza e il lutto connessi alla separazione e sono convinti che l’ex coniuge si trasformi in un nemico contro il quale bisogna combattere. Tale visione della separazione rischia di innescare un’escalation di aggressività che non solo impedisce agli adulti di superare in modo efficace e maturo tale evento, ma coinvolge anche i figli, con gravi conseguenze per il loro sviluppo psichico, fisico e sociale. Allo scopo di prevenire i suddetti esiti negativi, è fondamentale promuovere tra i genitori e tra gli operatori che lavorano con coppie impegnate in una separazione (es. avvocati, psicologi) una cultura della bigenitorialità. Tale termine significa non tanto “dividere perfettamente a metà” la quantità di tempo trascorsa con i figli, ma piuttosto investire sulla qualità del tempo vissuto insieme, riconoscendo come fondamentale il “reciproco diritto di ciascun genitore e dei figli a essere presente nelle rispettive vite”(CISMAI, 2019, p.32).

Bibliografia

Malagoli Togliatti, M. & Lubrano Lavadera, A. (2002). Dinamiche relazionali e ciclo di vita della famiglia. Bologna: Il Mulino.

Bohannan, P. (1973). The six stations of divorce, in Marriage and Familya cura di M.E. Lasswell, Love, Ill., Scott & C.

Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia – CISMAI (2019). Criteri e metodologie di intervento per la tutela dei minorenni nelle separazioni gravemente conflittuali. Documento approvato dall’Assemblea del 18 ottobre 2019 a Pescara.

 

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